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“Il mestiere della sinistra” di Stefano Fassina

Pubblichiamo un estratto dal libro di Stefano Fassina “Il mestiere della sinistra nel ritorno della politica”

Premessa: il ritorno della Politica

Nella notte del 24 febbraio 2022, con l’avvio della guerra scatenata dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin all’Ucraina, si è sigillata con il sangue la chiusura della fase fantasiosamente titolata “La fine della Storia”. Il titolo era derivato da un testo di Francis Fukuyama scritto subito dopo l’89 (La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, 1992). Thomas Friedman, editorialista del «The New York Times», la faceva più semplice nel 1996 sul suo giornale: «Nessun Paese con i McDonald’s è stato in guerra con un altro Paese con i McDonald’s da quando entrambi hanno i McDonald’s». Per la Große Koalition a guida Merkel a Berlino, era il «wandel durch handel», il ‘cambiamento attraverso il commercio’, per allineare la Russia all’Europa. Si profetizzava, allora, l’avvento irreversibile del “mondo piatto”. Si preannunciava, sulle macerie ancora fumanti del Muro di Berlino, il dispiegamento di una sconfinata prateria liberal-democratica: il mercato globale dove, senza intralci politici, avrebbe regnato sovrano il consumatore; le istituzioni liberali avrebbero meccanicamente seguìto le privatizzazioni a tappeto. Era la favola scritta dai vincitori della “Guerra Fredda”.
Dall’inizio del 2020, la diffusione globale della devastante pandemia da Covid-19 aveva travolto l’ideologia dell’auto-regolazione del mercato: lo Stato, denigrato, delegittimato e criminalizzato per quattro decadi dalla “rivoluzione neoliberista”, interviene brutalmente con un’autorità larghissimamente riconosciuta a limitare, fino a eliminarli per un arco temporale definito, libertà e diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti: dalla libertà di iniziativa economica a diritto al lavoro; dalla libertà di circolazione e manifestazione al diritto allo studio. Il pericolo per la vita porta a riscoprire il senso e a invocare l’esercizio della sovranità dello Stato nazionale, sia verso l’interno, ossia verso i “propri” cittadini, sia verso l’esterno, ossia verso gli altri Stati e i cittadini ad essi appartenenti. La sovranità dello Stato, condizione necessaria di democrazia effettiva, denigrata in quanto espressione immanente dello Stato nazionale e, pertanto, presunto vettore automatico di nazionalismo, riconquista il campo politico. In realtà, già prima dell’invasione dell’Ucraina e del Covid-19, era evidente l’insuccesso della potente operazione ideologica. Infatti, almeno dalla “Grande Recessione” del 2008, erano emerse le contraddizioni insostenibili alimentate dai liberi movimenti di capitali, merci, servizi e persone. Poi, a giugno 2016, era arrivato il primo Sì al referendum su Brexit e, qualche mese dopo, all’inizio di novembre dello stesso anno, l’“inconcepibile” vittoria nella corsa alla Casa Bianca di Donald Trump: personaggio così lontano dai nostri miti progressisti residenti oltre oceano. Fu «The Economist», nell’edizione del giovedì successivo al voto negli Stati Uniti, a scrivere nel suo editoriale: «History is back». Era proprio così: la Storia tornava in quanto tornava la Politica a raccogliere la rabbia generata da smarrimento identitario e sofferenza sociale.

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