L’ultimo quadro

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Nikolaj Tarabukin
L’ultimo quadro
Dal cavalletto alla macchina
Il 30 ottobre 1921, pochi giorni dopo l’inaugurazione della controversa mostra “5×5=25”, Nikolaj Tarabukin annuncia in una conferenza all’Istituto di Cultura Artistica che è stato dipinto “l’ultimo quadro”, ovvero che il Costruttivismo ha portato a esaurimento una vieta tradizione di pittura quale pratica per la realizzazione di “oggetti” senza vera utilità. Tarabukin, pensatore radicale e progressista – ma non marxista né membro di partito – è uno dei protagonisti della riflessione estetica nella Russia rivoluzionaria e avanguardista. Nel 1923, a Mosca, amplia e articola la sua premessa critica dando alle stampe il saggio qui riproposto, in cui sostiene che la pittura da cavalletto, l’opera da museo contemplativa e metafisica, è finita, e che l’arte è in procinto di diventare a tutti gli effetti una forza attiva, integrata nei processi produttivi della realtà sociale. Tarabukin si rifa a Oswald Spengler per denunciare il declino della cultura contemporanea e segnalare nell’avvento del Produttivismo la via d’uscita dalla crisi. Introdotto da uno scritto di Angelo Trimarco, “L’ultimo quadro” riscopre un testo fondamentale, polemico e utopistico, che scavalca la retorica della creazione proletaria e mira alla fusione definitiva di arte, lavoro e vita.

 

Nikolaj Tarabukin

 

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