Economia

Marcella D’Abbiero sul libro di Jesper Jespersen dedicato a John Maynard Keynes

Il nome di John Maynard Keynes continua a ritornare nell'attuale dibattito politico-economico. Il libro di Jesper Jespersen, tra i più importanti economisti europei e tra i maggiori esperti di teorie keynesiane.

Riflessioni sulla crescita e sulla vita buona di Marcella D’Abbiero

A proposito del libro di Jesper Jespersen, John Maynard Keynes. Un manifesto per la “buona vita” e la “buona società”, testo del 2015 apparso in italiano da Castelvecchi nel 2019.

Il titolo del libro ha subito attirato la mia attenzione e la lettura non ha deluso le aspettative: anzi ha suscitato ulteriori domande, sulle quali mi piacerebbe si aprisse un dibattito. Non solo l’autore offre una approfondita esposizione delle teorie di Keynes, ma pone problemi che appaiono quanto mai attuali. Il grande economista viene giustamente presentato come un ricercatore dallo sguardo ampio, uno degli inventori della “macroeconomia”, secondo la quale non è congruo affrontare il territorio dei bisogni umani limitandosi a formule matematiche, come spesso accade nella tradizione del liberismo.

Troppe cose lascia fuori una formula matematica quando si tratta di fatti umani! Jespersen ci fa capire tra le righe che questa predilezione per le formule si basa essa stessa su una visione dei fatti umani: presuppone che gli individui si muovano solo per i loro interessi e che tale scelta sarebbe razionale, dato che non esiste altro comportamento possibile.

Per Keynes, invece – nota l’Autore – le scelte umane sono molteplici, influenzabili e modificabili; l’economista e il politico devono quindi avere uno sguardo ampio: non c’è alcuna situazione in cui non si possa fare qualcosa per favorire una vita buona per tutti. Chi pensa che il mercato “alla fine” risolverà da solo non pensa evidentemente al fatto che “nel frattempo” molti, troppi soffrono. Per esempio, soffrono per la disoccupazione e la conseguente povertà, e la sofferenza non fa bene neanche all’economia: Keynes ha fatto della disoccupazione il centro delle sue riflessioni, e di questo, direi, gli saremo sempre grati!

Il grande economista ha dato risposte differenti al complesso problema di come costruire un’alternativa; Jespersen nota che mentre a volte Keynes sembra alludere a una riforma politica del capitalismo, imperniata sull’importanza anche economica del livello di vita e di occupazione dei dipendenti, un’altra strada, si può far trapelare dalle sue pagine; una strada che a Jespersen sembra assai proficua: rifondare la stessa economia, il cui fine dovrebbe essere la vita buona e non l’accumulazione del denaro.

Una prospettiva molto bella, ma che potrebbe funzionare, commenterei per finire, solo se venisse assunta in modo flessibile, rivalutando nozioni “miste” come “interesse bene inteso”, “crescita inclusiva”, “egoismo responsabile”. Jespersen sembra seguire Keynes perfino nella contrapposizione, che a volte si riscontra nelle sue pagine, tra il lavoro e il tempo libero… come se nel secondo, lo spazio dell’arte e della creatività, sparisse, in piena utopia, l’individuo avido; come se insomma la via verso il paradiso potesse iniziare solo decentrando l’economia e l’interesse che la muove.  Su questo punto ho qualche perplessità: forse sarebbe più realizzabile, e quindi più vitale, una via che non si basasse sul problematico superamento dell’interesse, ma solo sul suo allargamento; una via impegnata a mostrare che qualunque fine, anche quello economico, può e deve diventare responsabile, se consapevole che esistono gli altri. Anziché puntare sul non-lavoro, insomma, a me sembra più importante garantire al lavoro condizioni giuste e umane, rivalutandone gli aspetti creativi. Il lavoro rappresenta una via egregia per legare il proprio interesse a quello degli altri, che sono tanti e sempre nuovi. Inteso così esso, tra l’altro, non finirà mai, e potrà perfino dare qualche senso alla vita… un senso che forse non appagava Keynes, ma che negli sviluppi della nostra società cosmopolita potrebbe rappresentare una prospettiva percorribile.

Marcella D’Abbiero

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